di Silvio Cocco, Presidente Istituto Italiano per il Calcestruzzo
È ormai da alcuni anni che si parla, si discute si pontifica intorno alla durabilità del calcestruzzo coinvolgendo nella discussione il rapporto acqua-cemento o il sistema di miscelazione. Si è toccato (troppo poche volte) il tema della qualità degli aggregati, così come quello delle aggiunte di fibre o silici o di ceneri volanti, e quant’altro mi sfugge in questo momento, senza mai riuscire a coniugare seriamente il tutto con la questione della durabilità delle opere in calcestruzzo.
La mancanza di lavori, testimoniata della ridotta produzione di cemento, ha automaticamente spinto i produttori di calcestruzzo a cercare forniture al di fuori dei soliti confini chilometrici, già, ci si sta spingendo molto oltre e questo ha scatenato la richiesta di reperire additivi che possano consentire un mantenimento della lavorabilità sempre più lungo. Tutti oggi siamo impegnati in questa ricerca e, devo riconoscerlo, anche con risultati piuttosto soddisfacenti. Ormai, si possono garantire tranquillamente le due ore di mantenimento della lavorabilità: ma a quanto sembra ancora non bastano, si richiede ancora di più si è arrivati persino a bloccare, non senza conseguenze, la presa del calcestruzzo. Esistono oggi in commercio additivi fatti ad hoc per bloccare la presa e per attivarla al momento giusto.
Questa anomala situazione dovrebbe, in generale, far riflettere: perché affidare, per esempio, al solo 0,8% di additivo tutto l’onere di risolvere il problema quando mettiamo insieme quantità largamente maggiori di materiali per comporre il nostro calcestruzzo e non ci preoccupiamo minimamente se queste intervengono o meno in questa benedetta mantenimento di lavorabilità? Già, perché questa perdita di lavorabilità così pesante non avviene sempre, avviene alcune volte, con alcuni produttori, in alcune specifiche zone più che in altre, in presenza di alcuni specifici materiali.
Abbiamo deciso di mettere mano all’archivio delle verifiche e qualifiche di calcestruzzi effettuate in questi ultimi anni in impianti di betonaggio sparsi sull’intero territorio italiano dal nostro Istituto Italiano per il Calcestruzzo, alla ricerca di elementi che ci fornissero conferme a quanto già conoscevamo. I risultati non potevano che confermarci quanto temevamo: la perdita di lavorabilità era sempre confusa con la scomparsa repentina dell’acqua di impasto; non era la pasta di cemento che andava in presa, ma era l’acqua di impasto che spariva: assorbita dai materiali impiegati. Già, era più facile incolpare il poco additivo che mettere in discussione tutto il resto, e forse chissà... i bravi ricercatori avrebbero trovato qualche soluzione per non mettere in discussione tutto il resto. Sembrava più facile e forse lo è stato, ma non dura.
Da alcuni anni la finezza del cemento è cambiata enormemente: macinando più fine, si velocizza l’iniziale processo di idratazione e questo permette di ottenere resistenze iniziali più elevate e con queste una possibilità di risparmiare qualche punto di clinker. Più finezza uguale più superficie specifica uguale più velocità di idratazione uguale più resistenze iniziali, ma anche uguale più assorbimento repentino di acqua di impasto. Le resistenze iniziali, che si devono certificare, sono più difficili da ottenere. Per le finali, è tutto più facile. Dai 2800 Blaine di finezza per un 32,5 Cem II di qualche tempo fa, oggi siamo arrivati per lo stesso cemento a 4500 e questa enorme differenza di superficie specifica si idrata, di conseguenza, super velocemente.
Pochi si preoccupano dell’assorbimento d’acqua di un cemento, circola poca letteratura in materia e di conseguenza poca informazione. Un tempo in laboratorio la misura in spandimento della pasta di cemento di un buon cemento aveva uno spandimento, o Flow, tra 70 e 100. Oggi ci capita sovente di trovare cementi che non superano i 28 Flow, il che significa che a mancare è l'acqua di assorbimento in più. Come se non bastasse, i cementi pozzolanici vengono ormai prodotti con ceneri volanti provenienti da centrali elettriche a carbone, ceneri che contengono mediamente non più del 30% di silice reattiva. Il resto è carbone incombusto. Tra l’enorme superficie specifica da bagnare e la quantità di carbone incombusto ad alta porosità, il rispetto del rapporto acqua-cemento è a rischio elevato; cosa rispettiamo, il rapporto acqua cemento e con esso la durabilità, o il mantenimento di lavorabilità? Se mai ci si sia accordi di che cosa sta succedendo... È più facile cercare un additivo che garantisca più mantenimento!
Le ceneri volanti sono destinate a scomparire dal mercato anzi stanno scomparendo, ma ci sono altre ceneri disponibili: quelle del legno, quelle della biomassa, e, perché no, quelle provenienti dalle RSU. Usarle non significherebbe forse fare un'operazione accattivante per l’ambiente, che non sa come smaltirle? Tanto, chi se ne accorge?
Evidentemente non si tratta di una situazione generalizzata, tuttavia non sono poche le volte in cui ci siamo imbattuti in questi problemi. Il percorso è tortuoso e pieno di incognite, il sistema fa acqua, come si suole dire, in troppi punti ed è impensabile che nel nostro Paese sia assente un’autorità di controllo efficiente in presenza e capacità. Tutto e demandato, generalmente, per questi problemi, alla Direzione Lavori, spesso assente e, quando presente, poche volte con conoscenza delle problematiche molto limitate.
Ma oggi si può, si deve agire diversamente, oggi si hanno le conoscenze, le norme, i materiali per poter produrre calcestruzzi durevoli e, se non si riesce a farlo, si deve riflettere sul fatto un calcestruzzo durevole genera, oltre alla scontata sicurezza, anche enormi economie che vanno ben lungi dai costi da sostenere per un adeguato controllo lungo l’intera catena. Ecco dunque un altro punto chiave: i controlli adeguati, quelli che mancano.
Ormai ne siamo tutti a conoscenza e non saranno certamente i produttori di calcestruzzo a dotarsi di un'organizzazione di controllo, né tantomeno la filiera dei produttori dei materiali che lo compongono. Se così fosse, ci troveremo di nuovo al punto di partenza. Oggi si vantano controlli di produzione, certificazioni di prodotto e produzione troppe volte disattesi.
Siamo stati capaci di rendere obbligatoria la polizza di assicurazione decennale postuma sui lavori di costruzione di opere pubbliche. Le compagnie assicuratrici si fanno ben pagare questa polizza, i produttori dei materiali che compongono il calcestruzzo sono anch’essi in possesso di un copertura assicurativa sul prodotto, e in entrambi i casi non viene richiesto nessun controllo, quindi si presume che i costi della polizza vengano determinati statisticamente in funzione dei danni che si verificano...
A questo punto un controllo puntuale, professionale, totale, porterebbe se non altro all’ottenimento di una forte riduzione dei costi della polizza, un po' come avviene per le polizze automobilistiche in presenza di GPS.
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