di Gabriele Camomilla, terotecnologo
Mi sono imbattuto nel meme pochi giorni fa. Non conoscevo la parola, ma dopo averla cercata in Internet mi sono reso conto che la mia era una carenza grave, perché il fenomeno che essa descrive mi era, e vi è, ben noto, ma forse non nella sua preoccupante interezza. Non è un altro modo di definire le fake news, dietro c’è molto di più: c’è la memetica. In un libro del 1976, “Il gene egoista”, Richard Dawkins ha scritto come le informazioni culturali diano luogo a evoluzioni della società, confrontabili con le evoluzioni genetiche darwiniane, basate sulle mutazioni dai geni. Oggi, le informazioni sono indotte dai memi (dal greco, mímēma, “imitazione”) cioè idee, stili o azioni che si propagano nella cultura di massa, spesso per imitazione. Essi diventano rapidamente virali per il popolo e quindi anche per i suoi governanti, che ne seguono gli umori. La memetica è la scienza che le tratta.
Le indicazioni “culturali” sono tipiche della società umana, venivano trasferite alle masse con mezzi lievi, continui. Per le religioni con i mosaici delle chiese, con le storie della Bibbia o le sedute periodiche nelle moschee. Anche le strutture sociali seguivano vie simili. A volte, dopo lo stato nascente escatologico, venivano imposti anche con la violenza questi memi medievali, lenti e duraturi.
L’approccio moderno è più subdolo ed efficace: si basa sulla convinzione indotta dalla ripetizione e dalla condivisione veloce, senza riflessione; la coercizione non serve. È la sindrome di Stoccolma della società di massa. La convinzione è indotta principalmente dal web; fino a ieri erano le sole TV; come i mosaici del passato o i soli libri, ma per pochi. Con i media capillari e spesso politicamente orientati, la condivisione del memo diviene universale e fulminea.
Gli esempi si moltiplicano perché trovano spesso alimento nell’ignoranza acritica legata all’assenza dell’ educazione alla storia, sia quella aulica che quella braudeliana della vita comune. Senza la scuola e lo studio siamo in balia della memetica: agiamo per imitazione. Siamo circondati dai memi: religiosi, politici, comportamentali per esempio quello di imbrattare o rompere le statue di presunti razzisti del passato, il movimento iconoclasta dei black lives matters. Un meme estinto simile è stato quello delle sardine.
Poi è arrivata la pandemia: la paura del Covid 19 è stata instillata con messaggi continui per convincere al cosiddetto lockdown, non più quarantena o clausura ma convinta auto-detenzione; positivo all’inizio, è oggi rimasto come effetto traumatico per un pericolo forse scomparso, cosa non avvenuta con la spagnola.
La memetica è in mano ai geni della pubblicità, che siano teste d’uovo del partito democratico Usa per screditare Trump o eminenze grigie mutuate dalla TV di massa come in Italia. Per entrare nel campo della tecnica stradale, di memi ne abbiamo una serie completa, molti originati dal tragico crollo del Polcevera. Un meme è stato ed è ancora:
• L’esclusiva importanza data agli stralli del viadotto Polcevera sulla tenuta dell’opera: quella era la parte che avrebbe ceduto per prima, quella che visivamente si “spende” di più;
• La loro rottura, poi, non può che essere legata alla corrosione, che è palese in molte opere, ma è un fenomeno complesso compreso da pochi esperti.
L’assunto porta a un meme per tutti i livelli - anche tecnici - per cui l’opera è “marcia”, può crollare e va rifatta. Il pensiero razionale dovrebbe portare su altre cause possibili, come per esempio, la fatica degli acciai, per il crollo parziale in un’opera mai trascurata come dimostrano alcuni terabyte di dati sulle sorveglianze e le manutenzioni fatte, disponibili già all’atto del crollo. Il fatto che non tutto il ponte era marcio si è già palesato nelle demolizioni.
A parte le vicende strutturali, dal ponte è nato un altro meme: il Modello Genova. Esso serve a introdurre nella normativa la “rapidità” in Italia ormai inesistente per le opere pubbliche e piace molto ai politici, colpevoli di avere portato essi stessi alla complicazione autodistruttive dei metodi del non fare. In pratica però esso rimane inadatto per l’uso generalizzato: infatti ha funzionato per una serie di motivi genovesi, spesso non presenti ovunque. Poi non è detto che abbia funzionato, in quanto alla riapertura del ponte nuovo, i problemi di Genova saranno gli stessi del 17 agosto del 2018, con molti milioni di meno.
Noi tecnici dobbiamo resistere alla memetica palesemente strumentale e cercare di usarla in senso positivo. Abbiamo solo le riviste tecniche per argomentare le critiche. In esse possiamo operare sfatando il meme ministeriale del crollo in atto dei ponti (solo autostradali a quanto pare) che sono invece solo affetti da carbonatazione dei copriferro, rimediabile facilmente, e che non porta al loro crollo in breve tempo. La sorveglianza poi meriterebbe un trattamento operativo, che la rendesse efficace nel Real Time Warning e non con linee guida adatte solo al progetto delle riparazioni.
Invece, sull’onda della paura irrazionale del crollo imminente, si è arrivati a ordinare interventi simultanei sulle gallerie liguri, che portano alla loro semichiusura con il blocco del traffico regionale per ovviare a inconvenienti localizzati. Si sta generando per reazione il meme della regione che si ribella senza conoscere le cause dell’accelerazione memetica delle manutenzioni. Per evitare quindi la regressione che spesso è insita nei memi attuali occorre, come per ogni azione umana, una loro analisi razionale selettiva, che sia l’equivalente della selezione genetica darwiniana dell’evoluzione della specie. Solo così potranno generare un’evoluzione memetica positiva.
Per ora prevale il segno meno...